AGGIORNAMENTI DALLA CURIA
3.01.2021
Famiglia: "Sia un centro in cui la Parola di Dio abiti i suoi componenti"
"Quest'anno di riflessione sull'Amoris laetitia che il Papa ci chiede di vivere - sottolinea don Pierluigi Pistone -, ci serve per non farci vincere dalla stanchezza e per non farci fermare, ma per stimolarci sempre più a migliorare questi percorsi e far sì che questi ultimi possano diventare davvero una realtà amata, stimata e voluta dalla Chiesa"
La scorsa domenica 27 dicembre, nel giorno in cui ricorreva la memoria della Santa Famiglia, Papa Francesco ha indetto un anno di riflessione sull'esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia a quasi cinque anni dalla sua pubblicazione, avvenuta il 19 marzo 2016. Sarà questa un'occasione per rimettere al centro la famiglia in tutte le sue declinazioni e aspetti che la caratterizzano, rilanciandone la validità come modello educativo e stile di vita all'insegna dell'amore, della comunione e della condivisione, in grado di superare tutte le avversità, com'è accaduto anche in occasione della pandemia di Coronavirus Covid-19. Abbiamo parlato di tutto questo con il direttore dell'Ufficio di Pastorale familiare dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne, don Pierluigi Pistone, intervenuto oggi ai microfoni di Radio Speranza InBlu.
Don Pierluigi come accogliere, a 5 anni dalla sua diffusione, quest'anno di riflessione sull'Amori laetitia: possiamo parlare di un suo primo tagliando?
«Sarà un anno importante. Non rappresenterà solo un tagliando, ma anche l'occasione per riprendere in mano l'esortazione apostolica. Tutti i documenti pontifici corrono il grosso rischio di poter essere abbandonati, dopo la loro lettura, nelle nostre librerie. L'intento di Papa Francesco è quello di riprendere, allargare l'Amoris laetitia ad una pastorale familiare che possa davvero renderla concreta, che possa rendere questa esortazione apostolica una via da percorrere e non solo un libretto che all'inizio ci ha entusiasmato, ma che poi si ferma lì».
Dopo cinque anni di Amoris laetitia, quali sono stati gli aspetti più approfonditi e su quali c'è ancora da lavorare?
«Questo documento ha aperto una prospettiva molto importante, quella di tornare a mettere al centro la persona. Poter scendere nelle singole situazioni e poter vivere davvero una pastorale incentrata sulla persona, non solo sulle regole e su quelli che sono i dettami - molto importanti della Chiesa - al centro della nostra vita di fede, ma che poi vanno calati nella realtà di ogni singola persona. Su questo si è lavorato molto. La nostra diocesi, grazie alla sua storia pastorale che attraverso i miei predecessori ha sempre acceso un faro sulla famiglia, non si è trovata ad iniziare da zero. L'Amoris laetitia si è posta diversi obiettivi e la nostra Pastorale familiare diocesana è stata tra le prime a lavorare con i separati e divorziati (il Percorsa Samaria) o con i fidanzati (il Percorso Lui e Lei). E che quest'ultimo non fosse un mero cammino di preparazione al matrimonio, ma che fosse un vero percorso di discernimento dedicato ai fidanzati. Dunque, l'Amoris laetitia ci ha trovati pronti e mi fa piacere, perché ciò significa che si è lavorato in una direzione di comunione con la Chiesa. E quest'anno che il Papa ci chiede di vivere, ci serve per non farci vincere dalla stanchezza e per non farci fermare, ma per stimolarci sempre più a migliorare questi percorsi e far sì che questi ultimi possano diventare davvero una realtà amata, stimata e voluta dalla Chiesa».
La scorsa domenica Papa Francesco rilanciava il valore educativo della famiglia e durante il primo lockdown, l'abbiamo scoperta anche come culla della "chiesa domestica" in sostituzione di quelle fisiche, chiuse in seguito alla pandemia. Ma oggi qual è il reale stato di salute della famiglia?
«Non bisogna generalizzare. Abbiamo delle situazioni solide, con famiglie che vivono la fede tra le famiglie domestiche, e abbiamo delle famiglie che fanno fatica e vanno supportate. Il tempo di lockdown ci ha effettivamente aperto la porta della Chiesa domestica, che però dobbiamo fare attenzione a non ridurre ad un liturgismo casalingo, ma dobbiamo far sì che le coppie, i genitori e tutta la famiglia diventi un centro vitale in cui la fede è vissuta e predicata con i ritmi della famiglia, con la possibilità che la famiglia offre di momenti vissuti nella fede. La situazione familiare di oggi va supportata, va aiutata. Vanno aiutate le famiglie a maturare nella fede, a non viverla più come un insieme di appuntamenti sacramentali (le prime comunioni o le cresime) o con catechisti ed educatori, ma a far sì che la famiglia sia un centro in cui la Parola di Dio abiti veramente e abiti soprattutto nei cuori di chi la compone, soprattutto dei genitori che vanno aiutati ad avere un contatto maggiore con il Signore - attraverso la Parola - diventando un canale aperto tra la Chiesa, i giovani e le famiglie».
Papa Francesco ha invitato le famiglie, al cui interno emergono spesso contrasti e divisioni, a non concludere mai la giornata senza prima aver fatto pace. Qual è l'importanza della pace in famiglia sotto l'aspetto educativo, che poi influenza tutti i rapporti sociali?
«Non può esserci una vera pace, soprattutto in famiglia, se non si impara il dialogo. Quest'ultimo per la coppia è come l'acqua per la pianta. Una coppia che smette di dialogare, al suo interno e con i figli, vedrà la pianta della famiglia appassire. La pace è frutto di un insieme di idee che si mettono sul tavolo e raggiungono un concordia di intenti. Se in famiglia non impariamo a dialogare, si rischia di restare tanti singoli che la pensano a modo loro e vogliono il proprio modo di pensare: i genitori sui figli, i figli sui genitori, i coniugi tra di loro e questo significa rendere teso l'ambiente familiare. Un ambiente in cui si innesca un principio di vittoria o sconfitta e questo non è buono, non è sicuramente un terreno fertile per la famiglia. Quello che bisogna capire è che la famiglia è un terreno che va lavorato insieme per farlo, bisogna prendere insieme delle decisioni. Bisogna sapersi sedere, bisogna sapersi ascoltare».
In conclusione, alla fine di questo 2020 così travagliato, qual è il messaggio di auguri che vuoi rivolgere a tutte le famiglie?
«Prima degli auguri, vorrei chiedere a tutti di non concludere quest'anno solo ed esclusivamente pensando solo al negativo che c'è stato. Non focalizziamoci solo su quello che il Coronavirus ci ha tolto, ma proviamo a dirci un momento in cui questo anno ci ha fatto un dono, un regalo. Tutti possiamo trovare un momento positivo di questo anno. Quindi il mio augurio è di poter crescere sempre di più nell'unione, di poterci riappropriare di un tempo familiare, di spazi familiari. È questo l'augurio forte che voglio fare, perché le famiglie possano tornare ad essere un luogo di aggregazione e non soltanto una casa-dormitorio in cui rientrare la sera dopo le fatiche quotidiane. Questo perché le famiglie possano essere davvero un luogo di ritrovo, di riposo. Un luogo in cui si cammina, si cresce, ci si ritrova insieme».
24.12.2020
Natale: "Tempo da riempire con la stessa tenerezza di Maria e Giuseppe verso Gesù"Che la speranza - auspica l'arcivescovo Valentinetti - continui ad albergare nei nostri cuori, che la fede continui ad essere fortemente accesa e lo è, perché se siamo qui a celebrarei divini misteri e ci siamo non perché siamo tanti, ma perché questi divini misteri continuano ad essere la lode, il ringraziamento, l'affidamento nostro e di tutta l'umanità nelle mani del Signore. Il il mio augurio di Natale a tutti nella vera pace, nella vera gioia, nella vera serenità, nella vera speranza che Dio è con noi. Dio non è contro di noi""
23.12.2020
Arriva puntuale il "buon Natale" di monsignor Tommaso Valentinetti, ai suoi fedeli. L'augurio che l'arcivescovo di Pescara-Penne ha scelto per quest'anno e che, senza dubbio, svilupperà nella omelia della celebrazione in Pescara, nella cattedrale di San Cetteo, il 25 dicembre, alle 11.30, è "la speranza".
«Penso alla realtà della nostra vita e auguro a tutti, per questo Natale, di ricuperare quella speranza che purtroppo, man mano che passa il tempo, si fa sempre fatica a tenere accesa. La memoria liturgica della nascita del Cristo nostro Salvatore sia un invito per tutti a rinnovare questa speranza, che nel cuore di ogni uomo deve sempre albergare. La speranza di una vita nuova, la speranza nella certezza di un futuro migliore, la speranza che, al di là da noi, c'è un Signore che opera e agisce e nel mistero della sua provvidenza dispone quanto è importante per ciascuno di noi e per la nostra stessa vita».
Il pensiero dell'arcivescovo continua, «incarnandosi» nella realtà italiana, nell'attualità, nelle situazioni di povertà, ma anche richiamando tutti ad un impegno per il bene comune. «Il mio buon Natale di speranza è innanzitutto a chi ha il peso della vita pubblica. In questo momento particolare prevalga il senso di responsabilità in tutti e si cerchi, seriamente, il bene comune, che sia il risultato di una giusta ricerca e di un giusto equilibrio tra i bisogni dei più fortunati e le esigenze dei più poveri, dei più emarginati, delle persone meno abbienti, di quelli che stanno soffrendo a causa della mancanza del lavoro, problema sempre più sentito, anche nella nostra realtà abruzzese. Tutti siamo chiamati - seppur sia cosa difficile - ad impegnarci nella ricerca delle giuste soluzioni.
Buon Natale di speranza a tutte le famiglie, sia per loro un tempo di pace e di serenità.
Buon Natale di speranza, a chi vive per strada - ripensa Valentinetti ai clochards morti in questi giorni per il gelo e l'indifferenza - che in questo periodo hanno dovuto subire il rigore del freddo senza la possibilità di un riparo.
Buon Natale di speranza a tutti gli anziani, ai malati e soprattutto chi è solo. Li ricordiamo con tutte le nostre forze e li rimettiamo, nella preghiera, davanti al Signore, perché guardi le loro sofferenze e dia loro consolazione».
Conclude, l'arcivescovo, con un messaggio a chi vive nell'angoscia spirituale per la perdita di un caro, ma anche a chi non riesce ad aver fede: «buon Natale di speranza a chi vive un momento di dolore, di aridità, di non comprensione di quello che è il mistero di Dio, perché possa essere toccato, non tanto dalle mille luci e dai grandi consumi perpetuati in questi giorni, che non hanno nulla a che fare con la nascita nella grotta di Betlemme, ma dalla semplicità di un amore che si incarna e condivide le difficoltà dell'uomo».